di Maria Serena Natale
(fonte: http://27esimaora.corriere.it)
Sbianca che ti passa. La rivoluzione è stata strisciante e silenziosa, fino al giorno in cui ci siamo guardati allo specchio e abbiamo capito che ci mancava il sorriso. Non più solo una moda da divi americani, avere denti bianchissimi è un nuovo imperativo estetico di massa. La richiesta globale è così in crescita che il colosso Usa Procter & Gamble ha avviato un’azione di lobbying affinché l’Unione Europea ammorbidisca le restrizioni sulla vendita di prodotti sbiancanti contenenti tra lo 0,1 e il 6% di perossido di idrogeno (dal 2012 non possono essere venduti direttamente ai consumatori).
Cosa c’è dietro questa fascinazione collettiva per il superbianco?
La bocca è una parte del corpo densa di significati e funzioni primarie, dal mangiare al baciare. La psicanalisi freudiana collega i denti alla pulsione di possesso e dominio, la loro malattia e caduta in sogno rimanda a un impoverimento di potenza vitale. Nel romanzo d’esordio di Zadie Smith erano i denti bianchi a definire il senso d’identità dei protagonisti, segno fisico di una storia familiare dalle lunghe radici. I denti sono qualcosa di massimamente intimo e insieme massimamente esposto, ma solo allo sguardo degli altri. Cambiano i canoni di bellezza, non il messaggio che vogliamo trasmettere: forza.
L’ossessiva corsa al sorriso Durban’s degli anni Duemila rivela un’incapacità di reggere il peso della debolezza e della malattia, bandite da un contesto culturale che considera valore in sé la gioventù, il vigore, la rispondenza dell’immagine a criteri sempre più precisi e omologati; che non risparmia ansie ma esalta e impone il sorriso. Dimenticando che forse aveva ragione William Blake, sorridere si può una volta sola.
E voi che rapporto avete con il vostro sorriso?